Simone Rochira

di Vittorio Russo

 

Trentatré anni e tanti articoli ancora da scrivere. Una vita e una penna, brillante e promettente, fermate troppo presto da un male implacabile. Quando Simone Rochira se n’è andato, il 15 dicembre 2010, lavorava come redattore alla Dire, dove era giunto dopo aver collaborato, come stagista, con la redazione di Pesaro del Resto del Carlino e, ancor prima, con La Repubblica di Bologna. Schivo e taciturno, antiretorico e anticonformista, Simone, che per questo suo modo d’essere avrebbe storto il naso a una borsa di studio in suo nome, aveva mosso i primi passi nel mondo dell’informazione con l’allora Scuola Superiore di Giornalismo di Bologna intitolata a Ilaria Alpi.
Una persona difficile da approcciare, a tratti burbera, ma pur sempre pronta e disponibile ad aiutare nei momenti di difficoltà i suoi compagni alle prese con il giornale della scuola, La Stefani, e non solo loro. “Al di là della corazza, Simone era buono e umile: poco prima di mancare aveva fatto una donazione per i bambini affetti dalla sua stessa malattia”, ricorda la madre che, nonostante il dolore ancora vivo, mostra piacere nel vedere che suo figlio non sia dimenticato. “Io spero che i ragazzi che vincono la borsa di studio, poi, lo ricordino e gli facciano onore”.
Amante della sua vespa Px bordeaux e della palestra, oltreché per la storia antica, il giovane Rochira aveva una grande passione per il basket ma, soprattutto, per il Genoa. Non a caso aveva scelto di congedarsi dalla Scuola di Giornalismo con una tesi su un argomento avvincente quale la presunta maledizione lanciata sullo stadio di Genova.
Raggiunto quel traguardo, per Simone erano arrivate tante soddisfazioni, tra cui l’assunzione alla Dire, per la quale si occupava di politica. Curava i servizi da palazzo d’Accursio dove era solito mettere alle strette i rappresentanti della politica, facendosi notare e apprezzare, per il suo spiccato talento, dai giornalisti più esperti di lui e dai politici stessi. Era giovane, ma lavorava tanto; “era una macchina, scriveva molto bene ed era dotato di una grande capacità di linguaggio. Per questo, ai suoi funerali, accorsero i politici di tutti gli schieramenti. Dal Pd ad An, tutti vollero salutarlo, a dimostrazione di quanto la sua professionalità e la sua bravura fossero riconosciute”.
Le parole di Marco Sacchetti, all’epoca caporedattore della Dire, che ancora oggi si dice orgoglioso di aver assunto il Simone giornalista e di averne apprezzato la sua personalità, non possono che essere per noi, giornalisti in erba e firme di domani, uno stimolo a far bene il lavoro che abbiamo scelto e, quindi, a tenere alto il suo nome.