Per un welfare plurale di comunità

Una parte rilevante del dibattito politico e tecnico-scientifico che sta riflettendo sui deficit delle risposte sociali e sanitarie alla luce della crisi innescata dal Covid-19 e che, di conseguenza, propone alcuni punti fermi da cui ripartire, sottolinea fortemente:

  1. la necessità di ripensare in modo profondo la territorializzazione del welfare locale, specialmente (ma non solo) dei servizi alla persona sia in ambito sociale che sanitario. Questo ritorno al locale richiama l’importanza dell’essere prossimi alle persone e ai loro bisogni. Prossimità significa possibilità di essere presenti (dal vivo o telematicamente) in tempi brevi e con soluzioni il più possibili vicine al contesto di vita dei cittadini-utenti. Significa, inoltre, la necessità di un nuovo ascolto profondo delle persone e dei loro bisogni – spesso ancora latenti e da far emergere – con una conseguente personalizzazione delle risposte offerte (piani personalizzati di welfare) che devono includere (tra chi risponde al bisogno) le reti di prossimità dell’utente e la comunità circostante. I cardini di questo orientamento alla prossimità (istituita) sono quelli dell'inclusione del più debole e della solidarietà sociale, sulla cui base costruire percorsi di fioritura umana capaci di mettere gli individui nelle condizioni di partecipare alla vita sociale in modo prima dignitoso e poi di pieno funzionamento (nei termini di Amartya Sen). 
  2. Questa prossimità non significa affatto immediatezza, e ancora meno uno scioglimento della rete strutturata dei servizi. Anzi significa, al contrario, il ripensamento di un sistema dei servizi (spazi-tempi di risposta ai bisogni) adeguato a processi di personalizzazione e territorializzazione. La persona-utente e le risposte istituite (cioè attendibili e strutturate) del sistema di welfare, compongono l’unità di riferimento per qualsiasi percorso di riforma. Pensare l'individuo come un portatore di bisogni isolati e corrispondenti risposte settoriali slegate le une dalle altre,  significherebbe alimentare immaginari e scenari non all’altezza della riforma del welfare. Occorre quindi ripensare il welfare di comunità come strutturato localmente, per garantire spazi e tempi dove i cittadini possano incontrare i servizi e i professionisti del welfare, in modo "familiare", sentendosi a loro agio nell’essere ascoltati e sostenuti in percorsi riflessivi di orientamento verso una maggiore capacità personale nel condurre autonomamente la propria vita.
    Il sistema delle risposte ai bisogni deve poter includere tutti quegli attori riconoscibili – pubblica amministrazione, volontariato, reti informali a base familiare e amicale, terzo settore e anche mondo privato for profit – che, sulla base di un patto e di regole di welfare comunitario, sono capaci di offrire servizi e beni inclusivi. Le risposte messe a sistema sono orientate ai principi della co-design, co-produzione, co-valutazione, sempre letti attraverso le diverse identità e capacità degli attori stessi. Il sistema è quindi plurale, aperto alla deliberazione comune e in condizione di rispondere in modo trasparente del suo operato (accountable).
  3. Questo sistema di comunità, centrato su prossimità e istituito su regole condivise, deve tendere a strutturarsi mediante una governance aperta, condivisa e flessibile. Non si tratta solo e tanto di una struttura bottom-up, quanto di un modello sperimentale e democratico. La sua governance è pensata in modo tale che un centro a matrice pubblica  – costituito dall'arena aperta di attori partecipanti (con funzioni e ruoli adeguati alla loro natura) – possa co-disegnare gli obiettivi di policy a medio periodo, rendendoli condivisi attraverso una deliberazione il più orizzontale e aperta possibile. Una volta definiti gli obiettivi, il centro lascia alle unità territoriali (periferiche) la libertà di implementare gli obiettivi in modo specifico e adatto al contesto. Questo è il momento della sperimentazione di risposte plurali a situazioni diverse. Nella terza fase le unità territoriali si incontrano per presentare e discutere con il centro i risultati delle politiche, per valutarli alla luce delle altre esperienze, mediante momenti di incontro comparativo e discussione condivisa. A questo punto, le policies che hanno prodotto buoni risultati vengono mantenute e migliorate, diventando esempi per le altre, mentre quelle problematiche vengono ripensate alla luce della comparazione e dell’apprendimento collettivo. Anche gli scopi del centro possono cambiare nel tempo riadeguandosi alle rinnovate condizioni sociali. Questo circolo deliberativo e di apprendimento, rende la struttura del welfare comunitario flessibile, in costante cambiamento, adattabile alle mutate condizioni ambientali. 
  4. La governance democratica e sperimentale, altamente flessibile ma fortemente condivisa dalla comunità, necessita di alcuni aggiornamenti nei rapporti e nelle identità degli attori in gioco. Se ne sottolineano solo alcune, essendo la lista molto lunga. Il lavoro del sistema dei servizi deve apprendere a operare: 
  • in modo inter- e trans-settoriale per permettere la costruzione di piani integrati di welfare
  • sull’intreccio dei bisogni generazionali e inter-generazionali degli utenti, andando continuamente a riflettere su come una policy impatta sulle diverse generazioni e sulle loro relazioni; 
  • in modo condiviso, lasciando spazio a diversi approcci e punti di vista, sempre entro un quadro di competenze molto diverse (e spesso in conflitto); 
  • ripensando l’identità e le funzioni di ognuno degli attori partecipanti, dalla Pa, ai professionisti del welfare (pubblici e privati), fino a quella degli utenti e delle associazioni che li rappresentano; 
  • rendendo sempre visibile il centro istituzionale e simbolico del settore pubblico (ridefinito in modo plurale come capacità differenziata di rispondere collettivamente ai bisogni) quale garante dei diritti di cittadinanza, luogo di sintesi di identità diverse orientate al bene comune, attore affidabile nel tempo di presa in carico dei bisogni, luogo di interlocuzione con la cittadinanza attiva.

Ognuno di questi punti disegna un sistema di welfare comunitario aperto, ma ben definito; istituito, ma flessibile; sperimentale, ma affidabile; pubblico, ma capace di allargare il significato del pubblico, etc. Occorre però costantemente riflettere su come il sistema tracci i suoi confini, aggiornando in continuazione l'attuazione di percorsi inclusivi di chi, comunque, rimane momentaneamente “tagliato fuori” dalla sua operatività quotidiana.